Il dolore cronico e persistente alla parte bassa della schiena, irradiato agli arti inferiori e il dolore radicolare possono essere secondari a ernia del disco, rottura o degenerazione dello stesso, stenosi del canale spinale o sindrome post-intervento chirurgico.
I dischi intervertebrali sono dei cuscinetti che garantiscono il sostegno e i movimenti naturali alla colonna vertebrale. Questi dischi impediscono ai corpi vertebrali di entrare in contatto, preservando le vertebre dall’artrosi. Sono composti da una parte interna gelatinosa, il nucleo polposo, e da una parte esterna fibrosa e dura, l’anulus.
L’ernia del disco si verifica quando il materiale gelatinoso fuoriesce dai dischi in seguito alla rottura della parte esterna come risultato di una o di graduale usura, dovuta all’età o a lavori e professioni pesanti., o ad un evento traumatico. Con il tempo i dischi intervertebrali perdono il loro contenuto acquoso e le loro preziose fibre: questo ne determina una minore resistenza e flessibilità.
Questa condizione causa la compressione e l’irritazione dei nervi spinali, determinando un dolore spesso insopportabile, con o senza movimento, a livello della schiena e delle gambe.
La stenosi del canale è invece una condizione caratterizzata dal restringimento del canale spinale dovuto a cambiamenti degenerativi, come osteofiti delle faccette, cisti delle faccette sinoviali, spondilolistesi (scivolamento tra le vertebre), protrusioni o ernie dei dischi e ipertrofia del legamento giallo ed è una causa purtropo molto comune di disabilità nei pazienti di età superiore a 50 anni.
Con il termine Failed Back Surgery Syndrome (FBSS) o sindrome post-intervento chirurgico si intende una condizione caratterizzata da dolore che persiste dopo chirurgia vertebrale accompagnato da disabilità. In Italia la FBSS colpisce tra il 10 e il 40% dei pazienti sottoposti a chirurgia vertebrale lombare, in pari misura uomini e donne, e generalmente interessa pazienti relativamente giovani (50–55 aa).
Nel complesso possiamo distinguere cause preesistenti all’intervento (sindrome delle faccette articolari, sindrome da instabilità vertebrale, spasmi muscolari e sindrome miofasciale), cause non rimosse dall’intervento (a es. frammenti erniari), e cause indotte dall’intervento stesso (aracnoidite spinale, fibrosi peridurale, traumatismo delle radici nervose, distrofia simpatico riflessa)
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Nel trattamento di queste condizioni, le infiltrazioni epidurali lombari negli ultimi anni sono diventate molto popolari. Lo spazio epidurale è accessibile attraverso 3 vie: la via caudale, via interlaminare o transforaminale.
Le infiltrazioni caudali vengono eseguite attraverso il forame o iato sacrale, che corrisponde all’apertura caudale posteriore all’estremità del canale sacrale, situato solitamente a livello della quinta vertebra sacrale. Lo iato è chiuso posteriormente dal legamento sacrococcigeo, al di sopra del quale abbiamo solo la cute e il tessuto sottocutaneo. Il sacco durale termina normalmente a livello della prima o seconda vertebra sacrale.
L’infiltrazione caudale può essere eseguita in tre modi: cieca (solo reperi anatomici palpatori), sotto guida fluoroscopica (radiazioni) o sotto guida ecografica (ultrasuoni).
Al giorno d’oggi le tecniche guidate da una metodica di imaging hanno ormai soppiantato la tecnica cieca. La tecnica fluoroscopica è considerata il gold standard, grazie anche alla possibilità di iniettare mezzo di contrasto, ma molti studi di comparazione tra la guida radioscopica ed ecografica hanno ormai evidenziato che l’ecografia non è inferiore nelle infiltrazioni caudali a scopo antalgico.
In ecografia è possibile inoltre studiare lo iato sacrale, prenderne le misure, e valutare con precisione la probabilità di riuscita del nostro trattamento.
Una volta localizzato lo iato possiamo introdurre il nostro ago mantenedolo visibile durante tutta l’infiltrazione.
Inoltre il Doppler ci permette di valutare costantemente il flusso dell’iniettato e di aumentare notevolmente la riuscita e la sicurezza della procedura.
Unica limitazione dell’ecografia è l’impossibilità di visualizzare l’ago all’interno del canale, pertanto nell’approccio caudo-craniale la punta dell’ago deve mantenersi visibile all’inlet del canale o al massimo è possibile avanzarla per un massimo di 5mm, onde evitare complicazioni.
Nelle tecniche antalgiche, a parte casi particolari, non c’è alcuna necessità di avanzare l’ago o il catetere lungo il canale. Alcuni studi hanno infatti evidenziato che l’inserzione in verticale dell’ago (ovvero perpendicolare al canale) ha la stessa efficacia dell’approccio caudo-craniale (ovvero in linea con il canale) a fronte di una rischio procedurale nettamente inferiore.
Fondamentale, prima di proporre o di sottomettersi ad una infiltrazione caudale, è di eseguire una risonanza magnetica (o un TC) del rachide lombosacrale, per valutare correttamente sia la patologia per cui è indicato il trattamento, sia l'anatomia che la presenza di eventuali condizioni (ad es. cisti di Tarlov) che potrebbero influenzare il risultato del trattamento.
Queste tecniche hanno ormai raggiunto un alto livello di evidenza e di raccomandazione perchè sostenute da una letteratura scientifica adeguata.
(livello 1 raccomandazione forte per ernia disco; livello 2/3 raccomandazione da moderata a forte per stenosi del canale lombare, dolore discogenico e sindrome post-intervento chirurgico)
I farmaci più comunemente e storicamente impiegati in questi trattamenti sono:
- cortisonici (desametasone, betametasone etc)
- anestetici locali (in concentrazioni analgesiche 0.2-0.5%)
- soluzione salina ipertonica (prolunga effetto analgesico)
Recentemente alcuni studi hanno dimostrato che le infiltrazioni caudali con destrosio al 5% (zucchero!) hanno comportato una consistente analgesia post-iniezione e un miglioramento clinicamente significativo del dolore e della disabilità in un periodo di 12 mesi, confermando il potenziale effetto neurosensoriale del destrosio sul dolore neurogeno.
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